Professione: PIZZAIOLO

Nonostante la popolarità della Pizza mancano pizzaioli

Anno 2019; si sono sviluppate scuole di pizzeria più o meno corrette, più o meno efficaci nel trasmettere il mestiere ad altre persone, il più delle volte basta aver vinto un concorso di pizzaioli per sentirsi autorizzati a insegnare la professione ad altre persone.

La Formazione, quella vera, presuppone invece una formazione ideale per poter trasmettere ad altri il mestiere di Pizzaiolo. Si deve partire da una verifica delle proprie capacità psicoattitudinale, dove imparare come poter trasmettere ad altri le nozioni in possesso e che definiscono il proprio bagaglio culturale e professionale.

Per definirsi un insegnante, in primis, occorre essere disponibili ad imparare il rispetto di un programma didattico che dovrebbe essere redatto da una commissione di esperti capaci di dettare le regole di una buona formazione dedicata. La formazione di ogni ordine e grado necessita innanzitutto di programmi didattici, di regole capaci di garantire all’allievo tutte le fasi di apprendimento descritte dai programmi che dovranno tutelare lo strumento ottenuto dal superamento delle fasi formative da spendere nel mondo del lavoro.

Un ATTESTATO rilasciato che non è supportato da una serie di documenti che comprovano il percorso  formativo fatto dall’allievo non ha nessuna valenza  operativa.

Questa premessa perché nel ventunesimo secolo, corrente anno, si sono verificate per la prima volta e con notevole intensità, la mancanza di pizzaioli da utilizzare nel mondo delle attività turistico ricettive. Tantissime aziende cercano pizzaioli da utilizzare nelle pizzerie stagionali e in quelle annuali. Fino a qualche anno indietro si sopperiva con operatori stranieri ma oggi non sono più sufficienti. Un mercato, quello della pizza, che a seguito delle crisi economiche dell’Europa ha beneficiato di un aumento del consumo e quindi ha influito anche sull’aumento delle attività che hanno inserito la pizza nelle proposte culinarie. Vedi la ristorazione, cosiddetta blasonata, che nel secolo scorso snobbava la pizza riducendola ad alimentazione povera, mentre oggi gli chef stellati, addirittura salgono in cattedra per insegnare la “pizza gourmet”.

A questo punto, poiché la pizza è definita un’eccellenza italiana, di cui essere orgogliosi, mi pongo delle domande:

  1. La Pizza è Italiana?
  2. Perché gli italiani non vogliono più fare questo mestiere? 
  3. Le aziende del settore sponsorizzano concorsi di ogni tipo e premiano i migliori pizzaioli partecipanti, ma perché non ci sono pizzaioli da utilizzare?
  4. Dai media si evince che tutti quelli che vincono un concorso di pizza si dedicano alla formazione, perché mancano pizzaioli?
  5. Se il settore traina l’economia turistico - ristorativa della nazione, perché i giovani non vogliono abbracciare questo mestiere?
  6. Anche i molini oggi si dotano di scuole, di accademie, di università, e chi più ne ha più ne metta, perché non ci sono operatori da inserire in ambito lavorativo?
  7. Anche i sindacati di categoria svolgono attività didattica, sfornano operatori con attestati di frequenza da utilizzare nel mondo del lavoro da tempo immemore, perché non assistono i neo  diplomati nell’inserimento nel lavoro?
  8. Le scuole alberghiere che hanno programmi ministeriali e sfornano diplomati ogni anno perché attraverso i loro insegnanti chiedono personale alla nostra Associazione di Pizzaioli?
  9. Fuori dalla nostra Nazione, tutto quello che l’Italia professionale offre, è ancora moltissimo considerato, perché il made in Italy, visto dall’Italia deve essere contraffatto o ancora peggio realizzato con materie prime provenienti dall’estero?
  10. Perché in Italia non si abbandona la logica del facile e immediato profitto in favore di un impegno per i nostri figli che rappresentano il futuro e continuo successo della creatività, produttività, genialità di un paese che è, e dovrebbe rimanere, numero uno al mondo?

A questo decalogo, io penso che si dovrebbe rispondere con un enorme orgoglio nazionalistico, visto che l’Italia per la sua conformazione geografica, rappresenta in assoluto un fenomeno mondiale. Se poi aggiungiamo l’aspetto culturale, sociale, politico, che nel corso dei millenni l’Italia ha rappresentato, io penso che i nostri prodotti, per  chi li desidera possono essere venduti ( come qualcuno fa all’estero senza badare alla qualità) a prezzi decisamente più vantaggiosi di oggi.

Questo valore aggiunto che tutto il mondo ci onora di riconoscere, noi non siamo in grado di difenderlo come non siamo in grado di difendere la possibilità per i nostri figli di continuare a vivere in un mondo in cui siano considerati per quello che possono dare al prossimo in termini di qualità assoluta.

Mi piace chiudere questo pensiero, con un esempio che ritengo espressione di critica costruttiva. Oggi anche ITALMOPA (associazione di mugnai italiani sostiene che ‘l’Italia ha bisogno di importare il 60% del grano dall’estero perché la nostra agricoltura non è in grado di produrre. Però tutti i molini italiani esportano (ormai in tutto il mondo) la farina cosiddetta italiana. Nessuno pubblica le percentuali di esportazioni di farina che se corrispondessero (per esempio) al 60%, io credo di poter affermare che la nostra agricoltura sarebbe in gradi di soddisfare  il mercato interno e di garantire una alta qualità al prodotto farina legata al territorio e che potrebbe essere venduta a prezzi molto elevati, visto che già nei supermercati le farine considerate di alta qualità stanno toccando i 4,00 euro al kg.

Investire di meno in immagine, mode e scelte temporali che potrebbero durare solo qualche arco generazionale, in favore di una sostanziale qualità, professionalità, serietà lavorativa e conservazione della cultura agroalimentare italiana in toto, il sottoscritto crede che potrebbe rendere questo paese molto più grande di quanto lo sia stato in passato e nel presente.

Ma soprattutto, questo tipo di investimento darebbe valore aggiunto al prodotto italiano, alla professionalità italiana e agli operatori italiani i quali potrebbero fare una sostanziale differenza visto che oggi i giovani hanno una formazione culturale più evoluta.

Renato Andrenelli