Qual’è la Pizza Italiana?

Indiscutibilmente il mercato della pizza in Italia è il più evoluto al mondo. Anche un bambino è in grado di capire la qualità della pizza. Non è altrettanto uguale fuori dall’Italia. Certo, non di tutta l’erba si fa un fascio, ma molto spesso gli italiani che vanno all’estero si adattano troppo alle esigenze del posto snaturando la filosofia alimentare italiana. Nessuno vuol criticare l’adattamento ai gusti del posto ma quando si descrive una pizza italiana bisogna rispettare i criteri della nostra terra.
All’Italia tutti riconoscono essere la nazione in grado di produrre alimenti con un controllo igienico-sanitario di altissimo livello, anche se, molto spesso esporta la migliore qualità all’estero e lascia sul mercato interno la possibilità di consumare ciò che le altre nazioni sono in grado d’imitare. Complice anche la Comunità Europea che non legifera con trasparenza, privilegiando di volta in volta, questa o quella multinazionale alimentare. L’iscrizione su tutte le etichette dei prodotti alimentari (senza esenzione alcuna) di chi produce, del luogo di provenienza, delle sostanze nutrienti, e dei conservanti e stabilizzanti presenti nel prodotto, metterebbe il consumatore nella condizione di scegliere ciò che più gli sembri conveniente.
A tal proposito il mondo della pizza cosa sta facendo? I pizzaioli, le associazioni, accademie, scuole, federazioni di pizzeria (e chi più ne ha più ne metta) presenti in Italia che tanto si vantano di essere il baluardo della qualità professionale della pizza cosa stanno facendo per contrastare il fenomeno della contraffazione, contaminazione e commercializzazione dei prodotti agricoli di provenienza estera o realizzati con componenti contaminati provenienti da paesi senza controlli?
Spessissime volte si sente dire dalle grandi aziende italiane che la produzione di grano, latte, pomodori, verdure, ecc. in Italia non sono sufficienti a soddisfare il fabbisogno del mercato interno del nostro paese. questo può essere vero ma se i Molini tornassero a fare il loro mestiere, e cioè a dialogare con gli agricoltori con cui fare contratti e garantire loro un prezzo maggiore al campo, forze i contadini sarebbero invogliati ad aumentare la produzione di grano. Invece per un molino è più facile acquistare una nave di grano, non importa da dove viene, basta che costi meno, tanto poi in azienda il prodotto farina realizzato con l’aiuto dei tecnici sarà in grado di soddisfare le esigenze dei consumatori.
Un esempio questo che possiamo ricondurre a tutti i settori agricoli: al campo i prezzi sono risicati all’osso mentre i prodotti in vendita spesso sono maggiorati in percentuali altissime. Altro esempio la farina: oggi alcune farine definite di qualità sono vendute anche a 4 euro al chilogrammo.
Le aziende del settore sponsorizzano, scuole, campionati, manifestazioni della pizza. I pizzaioli ringraziano ma non si preoccupano assolutamente di fare il proprio mestiere, cioè quello di saper selezionare i prodotti di qualità, criticare e denunciare chi produce fraudolentemente, informando i consumatori finali sulla salubrità del prodotto pizza che rappresenti in toto la vera dieta mediterranea che i medici definiscono un bene per le popolazioni. Un esempio anche per le nazioni che la dieta mediterranea non l’hanno mai utilizzata.
Noi Pizzaioli dovremmo essere il filtro tra le aziende di produzione di alimenti e il consumatore finale. La nostra professionalità e il nostro sapere, dovrebbe essere messo al servizio del cittadino attraverso un controllo della qualità dei prodotti posti in vendita, commercializzati e utilizzati in pizzeria.
Ci sono aziende che producono materie prime di altissima qualità e certificate, ma molto spesso i gestori di pizzerie si affidano solo al prezzo (sempre più basso) delle derrate alimentari per contenere le spese e cercare di guadagnare di più.
Un errore questo che mette in serio pericolo la salute del consumatore, contribuisce ad aumentare sul mercato prodotti di dubbia provenienza e di scarsa qualità, e non permette alle pizzerie di raggiungere quel fatturato o quella fidelizzazione necessaria per rimanere sul mercato. Un danno questo che costringe sempre più i gestori di pizzeria ad utilizzare pizzaioli extra comunitari, i quali lavorano a prezzi più bassi, ma non portano con loro la filosofia culturale dell’agroalimentare italiano.
Tutti possono fare la pizza, ma il valore aggiunto alla “VERA PIZZA ITALIANA” può essere dato solo se nella sua produzione si tiene conto della qualità dei prodotti, dei metodi di produzione, della tradizione e della cultura tipicamente Italiana.
Il mondo pizza italiano deve poter comprendere che la vera differenza tra noi e gli altri operatori della pizza, sta proprio in questa forma mentis, necessaria a qualificare, diversificare e rendere unica la “Pizza Italiana nel mondo”.
La nostra storia, le nostre tradizioni, i nostri valori, la nostra creatività, il nostro microclima, la nostra agricoltura, le nostre aziende di trasformazione dei prodotti agricoli, la nostra immagine nazionale, debbono essere necessariamente un patrimonio indivisibile di cui tutti noi Italiani dobbiamo essere fieri, orgogliosi e strettamente nazionalisti.
Oggi che i nostri governanti lasciano vendere le aziende eccellenti italiani non sapranno mai quale danno stanno facendo hai nostri figli e nipoti, i quali si ritroveranno ad essere operai dei nuovi padroni esteri. Ci stiamo spogliando di sacrifici che le generazioni passate hanno fatto per mettere in piedi aziende che dovevano creare sicurezza economica alle generazioni di oggi. Noi invece stiamo svendendo la professionalità, la qualità, l’inventiva, i sacrifici che i nostri avi hanno fatto per noi . Questo essere italiani non tutela assolutamente la PIZZA ITALIANA. Articolo inserito in: La Pizza nelle Marche Renato Andrenelli