La Pizza, storia e curiosità

Le origini della pizza si perdono nel tempo. Certo, la pizza che siamo abituati a veder produrre dai pizzaioli moderni è l’evoluzione di quella che nei primordi veniva chiamata focaccia.
I grani o cereali (parola la cui etimologia deriva da Cerere dea romana dell’agricoltura) sono coltivati da 10.000 anni, tanto è l’inizio conosciuto dell’agricoltura. L’uomo raccogliere il grano, impara a macinarlo e a cuocerlo. Le prime forme di pane sono senza dubbio le focacce anche perché con la scoperta del fuoco esse venivano cotte per contatto su mattoni roventi. Nella Bibbia ne abbiamo notizia, Il profeta Isaia (Is 13, 3) parla dell’Egitto come ricca fonte di approvvigionamento di frumento per la città. Nell’area Fenicia i cereali venivano consumati sotto forma di bolliti ma anche abbondantemente sotto forma di pane o focacce di diversi tipi. Nel I libro dei Re (I Re, 17) si narra di una donna della città fenicia di Sarepta che impasta con farina e olio una focaccia per il profeta Elia. Geremia (ger 7, 18; 44, 19), nel condannare i culti stranieri, menziona l’offerta alla dea fenicia Astarte di focacce, preparate dalle donne di Gerusalemme, che recano impressa l’immagine della dea. Non si conoscono i metodi di cottura di tali cereali per l’area fenicia, ma sempre la Bibbia (Lv 2, 5-7), in riferimento alle offerte rituali, menziona due diversi tipi di stoviglie utilizzate: la teglia per le focacce, la pentola per una sorta di frittelle o farinate. Ancora, presso il tempio di Astarte a Kition, colonia fenicia a Cipro, venivano offerte focacce, preparate da panificatori che facevano parte del personale del tempio. In particolare, un’iscrizione menziona l’offerta di una focaccia tra i cui ingredienti sembrano figurasse bacche di ginepro.
Massimo Montanari docente di storia medioevale all’Università di Bologna nell’opera Storia dell’alimentazione edito Laterza cita che la focaccia era un pane di uso comune testimoniato anche dal ritrovamento di decorazioni pittoriche della tomba degli Scudi di Tarquinia (seconda metà del IV secolo a.C.) dove due coppie di banchettanti (il titolare della tomba con la moglie e i suoi genitori) sono raffigurati seduti a banchetto davanti ad una tavola apparecchiata sulla quale si possono riconoscere pani, grappoli d’uva e altra frutta, mucchietti di focacce. Analoghe rappresentazioni compaiono nella Tomba Golini I di Orvieto (prima metà del IV secolo a. C.) dove il banchetto è con dovizia di particolari descritto in tutte le varie fasi e dove sono pronte ai lati del triclinio dei banchettatori mucchietti di focacce. Siamo in Etruria l’odierna Italia centrale, in pieno impero romano dove il frumento ha avuto grande impulso in agricoltura. Proprio gli etruschi di quei tempi sono stati i primi a dare rotazione ai campi per aumentare la resa della coltivazione del grano. Nell’impero romano le focacce erano arricchite con olive, ciccioli di maiale, antenate delle torte rustiche di oggi; ce n'erano anche di quelle arricchite con miele, uvetta, pinoli, canditi. Come che sia, qualche riferimento anche di carattere linguistico su quelle primitive schiacciate, lo troviamo proprio al passaggio emozionante dell'anno Mille, quando in tanti aspettarono la fine del Mondo. A Napoli, verso il Mille si parla di lagano, ma compare anche il termine picea, non sappiamo se in alternativa o per indicare una preparazione diversa, nel senso di avere già il disco di pasta farcito da ingredienti colorati e saporiti prima di mandarlo in forno; subito dopo compare il termine piza: non dimenticando però che il termine pizza indica anche oggi nel sud d'Italia non solo la classica pizza, ma anche la schiacciata condita e mandata in forno, dischi di pasta ripieni e fritti, focacce ripiene, o preparazioni analoghe.
Una delle prime pizze moderne in assoluto fu preparata a Genova: La "Pissa d'Andrea" apparve nel 1490, così chiamata in onore dell'ammiraglio genovese Andrea D'Oria che ne era particolarmente ghiotto. Questa focaccia detta 'pissa' (ovvero 'pezza' in Genovese), era differente da quella odierna napoletana poiché veniva cotta in un tegame; è tuttora diffusissima in tutto il Ponente ligure anche oltre gli attuali confini nazionali. La ritroviamo infatti nel sud della Francia, antica ultima propaggine della Repubblica di Genova, con il nome di Pissaladière o Pizzalandeira, leggermente più bassa e croccante. La ricetta originale si è nei secoli arricchita di nuovi ingredienti a cominciare dal pomodoro (dopo la scoperta dell'America) che si aggiungeva alle olive rivierasche, cipolle, ad un formaggio molle ligure quasi liquefatto anche noto come squaquarone, in uso anche nella ricetta della Focaccia al formaggio genovese ed alle acciughe, uno dei pesci tipici della tradizione ligure.
Bisogna arrivare al Settecento per veder comparire la pizza delle pizze, quella che ha fatto il giro del mondo: la pizza col pomodoro, in diverse versioni, ma sempre con questa sua rosseggiante immagine. La ragione di un così tardivo accoppiamento è la stessa che presiede alla nascita degli spaghetti al pomodoro, che conquistarono Napoli e poi partirono alla conquista del mondo. La ragione del tardivo utilizzo del pomodoro deriva dal fatto che in Europa non esisteva fino a quando non venne introdotto dall'America; e questo non avvenne in un giorno. Passò un secolo e mezzo prima che gli europei scoprissero le virtù del pomodoro in cucina e i napoletani in particolare ne facessero una loro bandiera culinaria. Solo in tempi recentissimi rispetto alle migliaia di anni che abbiamo marcato prima, nasce la pizza al pomodoro.
Verso la fine del Settecento dunque si comincia, se non a mangiare, a distinguere in particolare la pizza, a Napoli, prima che spicchi il suo volo nel mondo. E la rossa pizza di pomodoro è anche quella che ridà interesse, e richiama l'attenzione su tutte le altre pizze, tra le quali le prime probabilmente erano state quelle con aglio e olio a crudo, o a cotto, quella con mozzarella e acciughe salate, quella coperta di pesciolini minutissimi, detti cicinielli, che sembra anche una delle più antiche. E ancora si parla di una pizza ripiegata a libretto che forse era una sorta di calzone, col suo ripieno.

Dobbiamo , ancora, arrivare al 1830 per avere notizia certa dell'esistenza di una pizzeria vera e propria (fino allora i pizzaiuoli avevano solo dei banchi all'aperto) che viene considerata la prima nata a Napoli, detta Port'Alba, perchè si trovava a fianco dell'arco che da piazza Dante immetteva in via Costantinopoli. Era una pizzeria con il suo bravo forno rivestito di mattoni refrattari e il fuoco alimentato a legna. La pizzeria Port'Alba, molto tempo dopo, divenne un ritrovo di artisti e scrittori famosi; forse fu lì che D'Annunzio, sul piano di marmo di un tavolino, scrisse i versi di una delle più stupende canzoni napoletane: A vucchella.
E tra i frequentatori illustri fu, un certo, Salvatore Di Giacomo, che pure alla pizza ha dedicato più volte i suoi versi. Del resto sono tanti i poeti, gli scrittori, i musicisti, che in epoca moderna alla pizza hanno dedicato qualche favilla del loro ingegno e del loro estro. Se ne occupò anche estesamente il padre dei tre moschettieri, Alessandro Dumas, nel corso di una serie di scritti di viaggio, una sorta di servizi di inviato speciale, raccolti nel "Corricolo". Scrisse, che "la pizza è una specie di stiacciata come se ne fanno a St.Denis: è di forma rotonda, e si lavora con la stessa pasta del pane. A prima vista è un cibo semplice: sottoposta a esame apparirà un cibo complicato". Dumas ricordava anche i vari tipi di pizza: il più comune, quindi, nella prima metà del XIX° secolo; e cioè all'olio, al lardo, alla sugna, al formaggio, al pomodoro, ai pesciolini (i cicinielli, appunto). E dichiarava, tranquillamente, che c'era anche una pizza detta "a otto" che si cucinava una settimana prima di mangiarla. In realtà non aveva compreso bene il senso della proposta, la pizza a otto, istituzione rimasta a lungo, forse ancora in auge ai nostri giorni, voleva dire la pizza si mangiava subito ma si pagava a otto giorni di distanza, anche se questa facilitazione costava in vero un qualche sovrapprezzo.

Si arriva al 1889 anno in cui la Regina Margherita di Savoia volle provare la pizza di cui tutti i nobili parlavano e che tutti assaggiavano nelle scappatelle notturne. Anche un'altra regina, la borbonica Maria Carolina di pizza era ghiotta, tanto che aveva voluto a corte, nel palazzo di San Ferdinando, un forno apposito. Carolina amava molto la pizza bianca, rossa e verde, ma forse, se avesse potuto immaginare che quelli sarebbero stati i colori dell'Italia unita sotto un'altra dinastia, che avrebbe cacciato la sua, non ne sarebbe stata più tanto entusiasta. Il gradimento che la Regina Margherita mostrò per questo prodotto al punto che Gaetano Esposito (pizzaiolo napoletano accompagnato da sua moglie donna Rosa invitati a corte per realizzare le pizze a Sua Maestà) in onore della Regina la chiamò pizza Margherita. Un successo annunciato che pian piano varca i confini italiani, I napoletani emigrati hanno fatto conoscere e apprezzare la pizza nel mondo e ormai anche molti cuochi di tante nazionalità differenti sono diventati esperti pizzaioli. Infatti il boom delle pizzerie è storia recentissima. Mentre a Napoli le botteghe erano già diffusissime alla fine della seconda guerra mondiale, in altre città non era altrettanto. Basti pensare che a Milano nel 1954 i residenti erano circa 1.500.000 ed esistevano solo 7 osterie che producevano pizza. Il resto è storia moderna.
Renato Andrenelli. pubblicato nel “Il Gusto della Vita”