La lievitazione della pizza

Ancora oggi abbiamo diverse visioni del problema.

Il 2020 segna un evento epocale. Il coronavirus ha costretto gran parte del mondo ad una emergenza sanitaria che ci ha visti confinati in casa. In Italia durante i tre mesi di chiusura si sono verificati consumi straordinari di lievito e confezioni di farina per uso casalingo.

Tutti durante la pandemia, si sono esibiti in preparazioni culinarie, ma soprattutto credo che ogni famiglia abbia fatto la pizza in casa.  Anche in internet si sono moltiplicati i post dedicati alla cucina e alla pizza. Anche moltissimi pizzaioli che hanno partecipato a campionati hanno voluto offrire le loro ricette per realizzare la pizza a casa.

Maestri e pizzaioli hanno messo a disposizione del pubblico, tecniche d’impastatura, idratazione degli impasti più o meno elevata, maturazione degli impasti e altre terminologie tecniche che sono il linguaggio di panificazione utilizzato in passato, ma che oggi si dovrebbe utilizzare una terminologia più efficace e soprattutto più comprensibile hai più; specialmente quando ci si rivolge al consumatore finale.

Questo modo di proporsi da parte di professionisti, denota quello che il mondo della pizza offre ai consumatori, cioè nulla di nuovo. Alte idratazioni, lunghe maturazioni degli impasti e tutto quello di cui oggi i pizzaioli si vantano, sono metodologie di lavoro vecchie che si utilizzavano negli anni 60 – 70 del secolo scorso. Tornate di moda perché i molini spingono a consumi di farine molto proteiche. Più facili nelle operazioni di messa a punto degli impasti, ma più difficili a livello nutrizionali, in quanto la quantità di proteine presenti nelle farine di forza giocano un ruolo inverso nella digeribilità della pizza.

Le proposte di pizze con il cornicione troppo alto e alveolato, che presuppone un’ottima preparazione tecnica nella realizzazione degli impasti, purtroppo non sarà mai segno evidente di facile digestione del prodotto in quanto la presenza elevata di proteine del tipo “gliadine” (proteina responsabile della celiachia) responsabile dell’elasticità degli impasti, rendono la pizza più morbida alla masticazione, più alveolata ma meno digeribile.

Se poi si vuole valutare il colore delle pizze che spesso vengono pubblicate sui social come altamente digeribili, il colore rossiccio tendente al marrone del cornicione denotano un eccesso di zuccheri presenti altro elemento di scarsa digeribilità.

Da una tesi di laurea dell’Università di Padova dal tema: “La digeribilità delle farine di frumento in relazione alla loro forza: sviluppo di un metodo di indagine.” Del laureando Andrea Roselli, anno accademico 2014 – 2015, al punto 1. 3 si evince omississ:

1.3 Digeribilità del grano e dei suoi derivati

1.3.1 Il processo digestivo e le implicazioni per la salute del consumatore

In bibliografia ci sono pareri discordanti sulla digeribilità del frumento e dei suoi derivati. Infatti, alcuni autori tra i quali Curtis e colleghi (2002) pensano che essi siano facilmente digeribili ma altri, tra cui Bethune e Kholsa (2008) oltre che a Gilissen et al. (2014),segnalano che l’organismo digerisce con difficoltà alcuni nutrienti in esso contenuti. In generale, il processo di digestione degli alimenti prevede una prima fase che avviene nel cavo orale, dove agiscono gli enzimi salivari, soprattutto le α-amilasi che iniziano la scissione dell’amido in zuccheri semplici (Hur et al., 2011). Successivamente, l’alimento entra nello stomaco dove sono presenti l’acido cloridrico, che garantisce un ambiente fortemente acido (circa pH 2), e la pepsina, un enzima proteolitico altamente aspecifico che idrolizza le proteine producendo peptidi (Dia et al., 2014; Mandalari et al., 2009). Una volta uscito dallo stomaco il bolo raggiunge l’intestino. In quest’ultimo vi è un ambiente prossimo alla neutralità nel quale ci sono i sali biliari e diversi enzimi proteolitici prodotti dal pancreas (pancreatina) (Hernández-Ledesma et al., 2007). L’azione della pepsina e della pancreatina porta alla formazione di peptidiche vengono assimilati a livello intestinale attraverso la membrana apicale dei microvilli, nella quale sono localizzati gli enzimi e i sistemi di trasporto critici per l’assorbimento dei nutrienti (Bjorkman and Brigham, 1990). Studiare quanto avviene durante il processo di digestione è utile per conoscere il destino o l’origine di alcune sostanze che potrebbero influenzare la salute del consumatore. Infatti, una patologia che colpisce circa l’1% della popolazione mondiale,nota come celiachia,è provocata dall’ingestione di alimenti contenenti glutine, oltre che dalla predisposizione genetica del singolo individuo (genotipi HLA-CD) (Catassi et al., 2015b; Lionetti et al., 2015). Essa si manifesta con sintomatologia extra-o intra-enterica, provocando spesso il danneggiamento delle cellule dell’epitelio intestinale. La malattia è innescata dalla presenza di specifici frammenti provenienti principalmente dalle α-gliadine e secondariamente dalle HMW-GS (Gilissenet al., 2014). Questi frammenti, sono peptidi costituiti da una sequenza di nove amminoacidi che provengono dalle proteine ricche in prolina e glutammina (prolamine), che sono resistenti alla digestione (Bethuneand Khosla, 2008).Pertanto, è stato ipotizzato che le gliadine pur difficilmente idrolizzabili dagli enzimi gastro-enterici, rimangano immunologicamente inattive nella maggior parte delle persone. Nei pazienti celiaci, però,ci potrebbero essere specifiche microflore a livello dell’intestino tenue che sarebbero capaci di sintetizzare enzimi (gliadinasi), che idrolizzando le gliadine predisporrebbero il paziente a manifestare la patologia (Bernardo et al., 2009).Esistono, inoltre, varie forme di allergia al frumento che affliggono tra l’1 e il 6% della popolazione mondiale (Young et al., 1994). Esse sono causate da diverse specie proteiche (ω5-gliadine, inibitori delle α-amilasi e della tripsina, proteine di trasporto aspecifiche dei lipidi) che provocano una risposta immunitaria di tipo IgE-mediato che può causare reazioni indesiderate a carico dell’apparato respiratorio, gastro-intestinale e della pelle (Gilissen et al., 2014; Pastorello et al., 2007). Solo recentemente è stata poi descritta un’altra patologia correlata all’ingestione delle gliadine del frumento denominata sensibilità al glutine (Gluten Sensitivity)(Sapone et al., 2010). Essa si manifesta con sintomatologia intra-ed extra-intestinale. Tuttavia, al momento non sono disponibili molte informazioni su questa sindrome tant’è che la 17diagnosi viene eseguita per esclusione della celiachia e dell’allergia al frumento (Catassi et al., 2015a).

Quando si parla di digeribilità della pizza e si nominano lunghe maturazione degli impasti, alta idratazione, metodo mako ecc. si indicano sistemi di produzione più o meno accettabili e piacevoli al consumatore. Anche la piadina e altri prodotti del tipo sono comunque alimenti buoni, e facenti parte della tradizione Ma indicare la digeribilità in un prodotto di eccellenza come la pizza, oggi, è necessario che sia accompagnata da un processo di produzione in cui la lievitazione deve avvenire a temperatura ambiente e per le ore che gli strumenti di misura delle farine indicano. La trasformazione dei carboidrati debbono avvenire nei tempi e alle temperature indicate dagli strumenti di misura o dai regolamenti con cui tali strumenti si utilizzano. In sintesi, lievitare una pizza significa trasformare i carboidrati in zuccheri semplici e questi ultimi dovranno essere trasformati in gas.

Questo processo avviene in modo preciso a temperatura ambiente e mai in frigo. Renato Andrenelli